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Inviato da avatar Giuliano Gavazzi il 18-07-2010 alle 21:25 Leggi/Nascondi

Allora ecco una proposta: ciclabilità non significa piste ciclabili e viceversa. In ambito urbano in particolare, le piste ciclabili, oltre che difficilmente realizzabili per mere ragioni di spazio, aumentano artificialmente le intersezioni tra traffico veicolare e traffico ciclistico, ed è proprio in queste intersezioni che si verificano le situazioni di maggior pericolo. Altra cosa sono le corsie riservate alle biciclette, all'interno del flusso veicolare generale, e che non precludono il necessario passaggio tra corsia riservata e flusso generale di traffico quando necessario. Allo stato attuale del Codice della Strada la presenza di piste ciclabili è addirittura contro l'interesse dei ciclisti stessi perché li forza, per legge, a utilizzare percorsi che possono come detto sopra risultare più pericolosi o semplicemente non convenienti. Tra le corsie ciclabili vi sono anche le cosiddette corsie in controsenso, che permettono ai ciclisti di percorrere via a senso unico in direzione opposta al flusso ordinario.

Seconda proposta: limitare la velocità veicolare di punta a 30 km/h in tutte le aree urbane, con eccezioni, quali la carreggiata centrale dei maggiori viali, dove questa potrebbe essere il vecchio limite di 50 km/h. Alla densità attuale di incroci nelle nostre aree urbane (non mi limito a Milano), velocità di picco oltre i 30-35 km/h non aumentano la velocità media dei veicoli se non in casi molto particolari, che molto spesso implicano la violazione di regole anche più importanti (non mi voglio dilungare oltre, ma basti pensare alle accelerate di chi vede il verde a 100 metri, ignorando tutto quello che sta di mezzo tra la massa del suo mezzo e la chimera dell'arrivare prima).

Scusate per la lunghezza dell'intervento, ma questo è un tema fondamentale perché riguarda non solo la mobilità ciclistica, ma la questione più generale del diritto di *tutti*, adulti, bambini, anziani, invalidi, a vivere e muoversi sul territorio, diritto che è ora usurpato dalla prepotenza e arroganza di chi invece esercita un futile privilegio.

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