I cinque ecomostri che feriscono Milano

Inviato da avatar Oliverio Gentile il 30-09-2010 alle 10:52 Leggi/Nascondi
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Il brutto nei quartieri - I comitati: «Interveniamo prima del 2015»

I cinque ecomostri che feriscono Milano

Lo scheletro di cemento di Ponte Lambro? Solo un esempio. Ogni zona ha il suo sfregio

MILANO - Ci sono quelli mai finiti. Quelli solo accennati. E quelli che - nonostante l'estetica - hanno una loro funzione. Come l'eliporto che sovrasta i nuovi palazzi della Regione in via Melchiorre Gioia. O magari come le torri vuote di via Stephenson ora in attesa di una maxi riqualificazione in vista dell'Expo. Ma per i milanesi sono e restano ecomostri. Edifici, costruzioni, scheletri, nati fuori posto e condannati a deturpare il già malconcio paesaggio di città. Di sicuro sono monumenti al degrado da conservare «a futura memoria». Eppure, ad ogni legge speciale per i grandi eventi (il prossimo sarà l'Expo...), nascono nuovi orrori, come denunciano da anni Legambiente e i Verdi con il concorso «Non solo Punta Perotti». A Milano sono stati censiti un migliaio di edifici e capannoni industriali abbandonati. Solo una parte però resiste da decenni a riqualificazioni e sviluppo. Il caso più emblematico è quello dell'hotel da 300 stanze costruito per i Mondiali di Italia '90, a Ponte Lambro e rimasto come scheletro di cemento armato.

Gli ecomostri di Milano

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Dietro l'ecomostro non c'è solo una questione estetica. Anzi, secondo Daniela Volpi, presidente dell'Ordine degli architetti di Milano, il concetto stesso di «brutto» non esiste: «Gli ecomostri nascono dal contesto, non esistono progetti belli o brutti. Se un edificio resta abbandonato per anni il suo destino è inevitabile. Il peso della burocrazia è enorme». Ecomostro ha rischiato di diventarlo, ad esempio l'ex istituto Marchiondi, il cui plastico è esposto al Mo.Ma di New York come esempio di architettura «brutalista». Diversa invece la questione della «stecca» di uffici di via Virgilio Ferrari, per la quale dopo anni di inutilizzo si sta tentando la ricollocazione immobiliare come alveare di loft. Dalla pensilina di piazza Piemonte, al centro di furenti polemiche dei residenti, fino ai parcheggi multipiano, come quello di Famagosta, ma gli ecomostri proliferano anche grazie agli interessi della criminalità organizzata e alle sue infiltrazioni nell'edilizia. Nell'aprile del 2008 venne abbattuto con l'esplosivo il «Blue residence» di via Tolstoj, a San Giuliano Milanese, «gemello» dell'ecomostro di Ponte Lambro. Gli abitanti festeggiarono. È rimasto l'unico caso di abbattimento a Milano.

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L’antenna Telecom in un’area vincolata - I cittadini del Ticinese hanno, solo negli ultimi cinque anni, combattuto (e vinto) contro il maxi-parcheggio sotto la Darsena e contro l’installazione di un ripetitore in un cortile di via Vigevano. Nulla però hanno potuto contro l’antenna Telecom di via Ascanio Sforza, un traliccio alto 30 metri collocato da 20 anni alla sommità di una palazzina della compagnia telefonica. Impossibile non notarlo. «Eppure l’area dei Navigli è sottoposta a un vincolo paesaggistico», attacca Gabriella Valassina del comitato di quartiere: «Com’è stato possibile autorizzarne la costruzione? Ora sia trasferito in periferia».

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Il gigante vista tangenziale che doveva essere un hotel - È, suo malgrado, il più noto esempio di edilizia incompiuta milanese. Impossibile non notare dalle tangenziali lo scheletro abbandonato in mezzo al verde. Doveva essere un hotel con 300 stanze distribuito su 240 mila metri quadrati. Doveva, perché il progetto fu avviato con la legge speciale per i Mondiali di Italia ’90. Non fu mai ultimato e in vent’anni — tra passaggi di proprietà e vincoli urbanistici— non fu mai ultimato. Due anni fa l’annuncio dell’assessore all’Urbanistica, Carlo Masseroli: «Ne faremo un campus universitario». Niente da fare. Eppure, come spiega Antonio Macchitella del comitato Ponte Lambro, «un progetto c’è firmato dall’architetto Marco Romano e prevede la riqualificazione di tutto il quartiere».

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Quel ponte mai completato non porta da nessuna parte - Il progetto era chiaro: costruire una tangenzialina per deviare il traffico lungo la circonvallazione esterna. Una parte (quella di piazza Maggi e viale Faenza) è stata ultimata solo per metà, il resto al Ronchetto sul Naviglio no. Così il sogno della tangenzialina è rimasto tale. Il ponte che scavalca il Naviglio, in via Pietro Giordani, è aperto ma tutto intorno è il vuoto. Così come la rampa che dal ponte (lato Lorenteggio) doveva scendere verso Corsico: una lingua d’asfalto che oggi muore in riva al Naviglio grande. «Un progetto faraonico poi rimasto senza un soldo— attacca Roberto Prina, tra le anime del comitato di piazza Maggi contro il maxi svincolo —. C’era un piano meno invasivo ma è stato accantonato, perché?».

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Al posto dello scalo Fs ora resta soltanto un rudere - Il progetto è del 1983. Porta la firma degli architetti Aldo Rossi e Gianni Braghieri: Piano di ampliamento dello scalo ferroviario di San Cristoforo, al confine tra il Naviglio grande e Corsico. L’area è di proprietà delle Ferrovie, ma di quell’edificio che compare sui vecchi disegni, c’è solo lo scheletro di cemento armato. Dentro si alternano sgomberi e occupazioni di famiglie di rom e disperati. Eppure c’è un progetto per farne case a basso costo firmato dallo studio Albori e presentato all’undicesima mostra di architettura della Biennale di Venezia. Il nome: «Ecomostro addomesticato». «Troppi progetti sono stati avviati senza un’idea di città e utilità — attacca Damiano Di Simine (Legambiente Lombardia) —. Il nuovo pgt sia più vicino alle esigenze dei milanesi e contro le speculazioni».

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A due passi dalla Bicocca un paradiso per vandali - E’ un’area immensa, scavalcata dal ponte che collega i quartieri di Greco e della Bicocca. In mezzo binari, vecchie fabbriche e un parallelepipedo di cemento armato ricoperto di graffiti e devastato dai vandalismi. Doveva essere il centro di calcolo delle Ferrovie dello Stato. Poi i progetti sono cambiati, le prospettive del quartiere anche, e da polo industriale tutta la zona è diventata residenziale. Così, proprio a due passi dall’università Bicocca e dalle aree ex Pirelli, è rimasta questa cassaforte di ferro e cemento. «C’è un progetto per riqualificare tutta l’area— spiega Gianfranco Dell’Era, del comitato Villa san Giovanni —. Era previsto l’ampliamento di via Breda, oggi strettissima, e una passerella ciclopedonale. Ora tutto è fermo per mancanza di soldi».

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Cesare Giuzzi
30 settembre 2010

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